Glossario della fotografia

Fotografia, procedimento che, mediante processi chimico-fisici o digitali, permette di ottenere, servendosi di una macchina fotografica, l’immagine.

Storia della fotografia

L’invenzione della fotografia, fu preceduta da un ventennio di intense ricerche e sperimentazioni. Le conoscenze chimiche dell’epoca applicate alla camera oscura, strumento largamente in uso tra gli artisti, portarono J.-N. Niépce, che cercava di perfezionare il metodo della litografia, a ottenere nel 1826 la prima immagine stabile, con la veduta dalla finestra della sua tenuta di Le Gras a Saint-Loup-de-Varennes: per ottenerla egli aveva spalmato una lastra di peltro con bitume di Giudea sciolto in olio di lavanda, che s’induriva nelle parti colpite dalla luce mentre restava solubile nelle zone d’ombra. Attraverso un lavaggio con una soluzione di acqua ragia e olio di lavanda che asportava la parte ancora solubile, si otteneva un’immagine positiva diretta in cui le ombre erano date dal peltro nudo e le luci dal bitume stesso. Questo metodo fu chiamato da Niépce stesso eliografia. Nel 1829 Niépce si associò con L.-J.-M. Daguerre, pittore di un certo rilievo, che aveva ottenuto un notevole successo con il diorama, sistema perfezionato del panorama, che consisteva in enormi dipinti circolari per ottenere i quali Daguerre si serviva con grande perizia della camera oscura. Morto Niépce, Daguerre ne approfondì le ricerche e nel 1837 ottenne un’immagine stabile su una lastrina d’argento sensibilizzata (cioè trattata con vapori di iodio in modo da formare uno strato superficiale di ioduro d’argento). Dopo l’esposizione, la lastrina era trattata con vapori di mercurio che si depositavano solo sulle zone colpite dalla luce, annerendole. L’invenzione fu resa nota da D.-F. Arago il 7 gennaio 1839 e prese il nome dall’inventore: fotografia dagherrotipia.

All’annuncio dell’invenzione molti reclamarono la paternità di sistemi per ottenere immagini attraverso l’azione diretta della luce. In realtà, il solo procedimento che si pose in alternativa al dagherrotipo fu il sistema inventato in Inghilterra da W.H. Fox Talbot e chiamato calotipia, che consisteva nell’esporre nella camera oscura un foglio di carta sensibilizzato (ovvero imbevuto di bromuro o ioduro di argento), per poi svilupparlo con acido gallico e fissarlo con soluzione di sale comune; il risultato era un’immagine negativa. Dopo ceratura della carta allo scopo di renderla più trasparente, la negativa veniva esposta a contatto con un altro foglio di carta sensibilizzata ottenendo così la stampa finale positiva. I termini negativo, positivo e la stessa parola f. (photography) si devono all’astronomo J. Herschel.

Un altro metodo di ottenere immagini per mezzo dell’azione diretta della luce fu messo a punto, sempre nel 1839, da H. Bayard; con questo metodo, che però non ebbe fortuna, si ottenevano immagini dirette positive su carta. Il dagherrotipo e la calotipia furono impiegati nel decennio 1840-50 per riprendere principalmente ritratti e monumenti; ciò a causa delle lunghe esposizioni necessarie malgrado i miglioramenti subito apportati a emulsioni e macchine, come l’obiettivo a grande apertura progettato sin dal 1840 da J. Petzval e prontamente commercializzato da F. Voigländer, che ridusse il tempo di posa intorno al mezzo minuto.

Grazie a questi progressi, il ritratto fotografico divenne di gran moda e gli editori iniziarono a pubblicare libri di viaggi, secondo la tradizione del Grand Tour, corredati di incisioni tratte da dagherrotipi. Nel 1841-42 N.-M. Lerebours pubblicò Excursions daguerriennes con immagini riprese dal pittore H. Vernet e da F. Goupil Fesquet e nel 1846 J.-P. Girault de Prangey pubblicò Monuments arabes d’Égypte, de Syrie e d’Asie Mineure corredato da immagini riprese durante i suoi viaggi tra il 1841 e il 1844. Il fotografo di origine tedesca F. Martens nel 1845 mise a punto una macchina in grado di riprendere dagherrotipi panoramici che misuravano 38,10×12,06 cm2.

Tuttavia, la tecnica del dagherrotipo venne ben presto abbandonata, perché l’immagine non era riproducibile. Malgrado una resa dei dettagli molto meno fine, che tuttavia alcuni artisti apprezzarono particolarmente, il calotipo si impose per la sua riproducibilità; fu lo stesso Fox Talbot a diffondere la sua opera stampando tra il 1844 e il 1846 The pencil of nature, libro con cui, oltre a offrire un vasto campionario dei possibili campi di applicazione della nuova invenzione, l’autore dimostra la superiorità del metodo negativo/positivo rispetto al dagherrotipo. Tra coloro che usarono il calotipo vanno ricordati R. Adamson e D.O. Hill, che fotografarono i partecipanti alla convenzione di Edimburgo per la fondazione/">fondazione della Chiesa libera di Scozia nel 1843, e ritrassero anche la vita e i volti degli umili pescatori di New Haven. In Italia va segnalato L. Tumminello, fotografo romano, di cui il Gabinetto fotografico nazionale possiede alcune centinaia di negativi. In Francia la calotipia si affermò con relativo ritardo ma, grazie ai miglioramenti tecnici apportati da G. Le Gray e da L.-D. Blanquart-Evrard nel 1851, divenne ben presto la tecnica preferita dai viaggiatori, tra cui il letterato M. Du Camp, autore con G. Flaubert di Egypte, Nubie, Palestine et Syrie. Notevoli sono anche i calotipi di C. Marville e H. Le Secq, nonché la cospicua produzione di C. Nègre, tutti pittori convertiti al nuovo mezzo.


La prima fotografia della Storia, di Joseph Nicéphore Niépce scattata nel 1826


Collodio e gelatina

Nel 1848 A. Niépce de Saint Victor aveva inventato il processo all’albumina, che consentiva una resa dei dettagli finissima ma era poco sensibile, così che il metodo restò in uso per poco tempo non addicendosi al ritratto. Nel 1851 l’inglese F.S. Archer con l’invenzione del metodo al collodio umido dette il primo grande impulso alla diffusione della f.; malgrado le difficoltà nella manipolazione del materiale, questo metodo aveva tali vantaggi in fatto di sensibilità e definizione che soppiantò tutti gli altri e rimase in uso per lungo tempo, anche dopo l’introduzione della gelatina secca. Tra i numerosi fotografi significativi di questo periodo si segnalarono: per le immagini di guerra, R. Fenton (1855, guerra di Crimea), A.F. Beato (1860, guerra dell’oppio in Cina), M.B. Brady, A. Gardner e T. O’Sullivan (1863, guerra di secessione americana); per i viaggi e le esplorazioni, D. Charnay (1857, civiltà Maya nello Yucatan), F. Frith (1856-60, Medio Oriente), L. e A. Bisson (1860, le Alpi), P. Egerton (1864, Tibet), S. Bourne (1868, Tibet e India).

Grande importanza ebbe anche la ritrattistica, soprattutto dopo l’introduzione delle cartes-de-visite con il metodo di A. Disderi, che consentiva di ottenere otto ritratti su un’unica lastra. Ne derivò una vera e propria mania che portò all’apertura di studi specializzati in cartes-de-visite in tutto il mondo. La personalità più rilevante in questo periodo fu senza dubbio Nadar, fotografo parigino, pioniere in vari campi della f.: a lui si devono le prime foto in Europa prese da un pallone aerostatico e le prime esperienze con la luce elettrica nelle fogne di Parigi. Nadar ha lasciato inoltre una interminabile galleria di ritratti di celebrità della sua epoca ripresa con sottile penetrazione psicologica. Altra grande ritrattista fu l’inglese J.M. Cameron, che si dedicò alla f. in età già avanzata, e che reagì alla piattezza del ritratto corrente con immagini di grande efficacia e originalità. Sempre nello stesso periodo si sviluppò anche la f. a carattere sociale come Street life/">life in London di J. Thomson (1877) e un movimento, il cosiddetto pittorialismo, che pensò di servirsi della f. come mezzo di espressione analogo alla pittura. Capiscuola di questo movimento, che tanta fortuna ebbe soprattutto in Inghilterra, furono O.G. Rejlander e H.P. Robinson le cui opere, rispettivamente Two paths of life (1857) e Fading away (1858), frutto di elaborati collages di fotografie, furono considerati capolavori.

Nel 1871 R. Maddox pubblicò il processo negativo alla gelatina-bromuro d’argento, più sensibile e pratica da usare. Questa tecnica aprì le porte all’industrializzazione della f. e, come naturale conseguenza, alla sua diffusione capillare che vide nascere il fenomeno del dilettantismo di massa.


Il collodio umido è una delle più antiche tecniche fotografiche.


Fotografia

Una fotografia è un'immagine statica ottenuta tramite un processo di registrazione permanente delle interazioni tra luce e materia, selezionate e proiettate attraverso un sistema ottico su una superficie fotosensibile. Il seguente processo è reso possibile dallo strumento denominato macchina fotografica o fotocamera. Infatti la fotocamera è un'attrezzatura fatta per riprendere le fotografie e con il termine "fotografia" si indicano tanto la tecnica per riprendere le fotografie quanto le immagini riprese, nonché, per estensione, il prodotto stampato.

L'estrema versatilità di questa tecnologia ha consentito fotografia nei campi più diversi delle attività umana come la ricerca scientifica fino a consacrarla in alcuni casi come autentica forma d'arte, nonostante il fatto che generalmente le fotografie non siano direttamente frutto della nostra immaginazione e del nostro operato, come usualmente lo sono un dipinto o un'illustrazione, ma sono sempre e comunque il prodotto diretto di una macchina e hanno come referente, per necessità, il mondo fisico.


Fotocamera

La fotocamera (da foto-, in greco antico phōtós, "della luce", e -camera, in latino camera obscura), propriamente macchina da presa fotografica e colloquialmente macchina fotografica, è uno strumento ottico idoneo alla ripresa fotografica e la resa di immagini di oggetti reali. Tali immagini, immagazzinate sia su supporti analogici (pellicola fotografica) che digitali (schede di memoria di qualsiasi formato) possono essere stampate su supporti materiali cartacei.

Indipendentemente dalla natura del supporto di immagazzinamento (analogico o digitale), la tecnica di produzione della fotografia è sempre l'elaborazione di un segnale luminoso convogliato nel dispositivo attraverso una lente che inquadra il soggetto da riprendere.

Elementi comuni a tutte le fotocamere sono l'obiettivo, ovvero il dispositivo attraverso cui passa la luce che reca l'informazione ottica da trasferire su supporto, e l'otturatore, mezzo meccanico o elettronico che regola il tempo di esposizione alla luce del supporto destinato a riceverla; altri elementi come il diaframma, che regolano la quantità di luce destinata al supporto, sono in genere presenti solo sulle fotocamere progettate solo per tale uso e non, salvo eccezioni, su altri dispositivi come telefoni cellulari o smartphone che abbiano, tra le loro funzioni, anche quella di macchina fotografica.

L'antenato della fotocamera, la più antica messa in commercio, è il Daguerreotype costruito nel 1839 dalla Susse Frères di Parigi, che utilizzava un sistema di cassette scorrevoli l'una entro l'altra per realizzare la corretta messa a fuoco sulla lastra fotografica posta nella parete opposta all'obbiettivo. L’idea venne concepita da Joseph Nicéphore Niépce durante il 1826, il quale mise appunto un processo che denominò eliografia. Mediante questa tecnica riuscì ad imprimere su lamina di peltro, cosparsa di bitume di Giudea, la prima fotografia della storia dell’umanità (Veduta della finestra a Le Gras). Durante il 1827 visitando Parigi, conobbe Louis Jacques Mandé Daguerre, con il quale collaborò alla realizzazione della citata Daguerreotype.

Questa tipologia di fotocamera viene chiamata dagli anglosassoni Sliding Box Camera (fotocamera a cassette scorrevoli).

Precedentemente veniva usata, specie dai pittori e sin dal 1600, la camera oscura che, grazie a un sistema a specchio (antesignano delle reflex), permetteva di disegnare su un foglio posto di fronte all'obiettivo, in quell'epoca un semplice menisco, i contorni del soggetto inquadrato. L'artista poteva essere all'interno dell'apparecchio, il quale aveva le dimensioni di una piccola cabina, oppure coprire solo il foglio da disegno e la propria testa mediante un telo nero

La portatilità, a partire dalle prime esperienze di Daguerre, era una esigenza molto sentita, data la necessità di sviluppare le lastre fotografiche appena impressionate in tempi brevi, vista la tecnica usata del collodio umido che sarebbe durata fino al 1870.

Per migliorare la portatilità delle fotocamere, Lewis padre e figlio introdussero nel 1851 il soffietto estensibile, prima in stoffa e poi in pelle ripiegato a fisarmonica, che permetteva il basculaggio e il decentramento dell'obiettivo, movimenti impossibili con le più datate tecnologicamente cassette scorrevoli. Secondo alcuni, tuttavia, l'invenzione risalirebbe al barone Armand Pierre de Séguier, mentre secondo altri l'invenzione è del russo S. L. Levitsky (1819-1898).

Questa tipologia di fotocamere, chiamata in inglese folding, venne prodotta in vari formati, sia a pellicola che a lastre, per diverse decine di anni. Le più recenti tra le portatili risalgono agli anni sessanta e la tecnica è ancora oggi utilizzata nei modelli professionali da studio: gli apparecchi a banco ottico.

Fotocamera stereo degli inizi del 900

Parallelamente si sviluppò la fotocamera stereoscopica, anche conosciuta come stereo camera, un particolare tipo di fotocamera che permetteva la visione stereoscopica, utilizzando l'impressione di due immagini con due obbiettivi uguali e paralleli su una pellicola: risale infatti al 1852 l'invenzione della fotocamera binoculare, per opera di John Benjamin Dancer, un ottico di Manchester.

Nel 1858 lo stereoscopio di Brewster venne presentato all'Esposizione Universale di Londra, suscitando l'interesse della regina Vittoria che ne volle subito uno per sé. Visto l'enorme interesse riscosso dall'oggetto, dapprima la ditta parigina Duboscq & Soleil, poi svariate altre ditte soprattutto inglesi, francesi e americane, produssero in serie lo stereoscopio Brewster, che divenne in breve tempo di enorme successo presso la borghesia europea e americana; negli Stati Uniti Oliver Wendell Holmes ne realizzò una versione più economica.

Successivamente lo stereoscopio ottocentesco, che utilizzava stereogrammi su carta, scomparve quasi completamente dalla scena, sopravvivendo sotto forma di giocattolo economico; al suo posto si sviluppò lo stereoscopio che si serve di diapositive su pellicola fotografica, che ebbe come pionieri il Tru-Vue e, soprattutto, il View-Master.[8]

Kodak box mod. 1

Nel 1888 George Eastman intuì il potenziale commerciale di una fotocamera a basso costo e di facile gestione nello sviluppo delle foto e fondò la Kodak (nome di fantasia), azienda che poi diventò Eastman Kodak Company. L'intuizione commerciale si concretizzò nella costruzione della Kodak mod. 1 a box. La fotocamera era priva di regolazioni di sorta e dotata solamente del pulsante di scatto, del mirino per l'inquadratura e del sistema di avanzamento della pellicola; inoltre, aveva dimensioni compatte (6 e 1/2 pollici per 3 e 3/4 pollici).

fu un successo enorme, che fece diventare la fotografia negli Stati Uniti un fenomeno di massa. La fotocamera veniva venduta sigillata, con una pellicola utile per cento pose. Una volta scattate le 100 pose, la fotocamera doveva essere rispedita alla Kodak, che provvedeva a sviluppare e stampare le foto, restituendo dopo una settimana la fotocamera ricaricata e le stampe ottenute; la camera veniva venduta al prezzo di 25 dollari comprensivi dello sviluppo di 100 foto, mentre le successive ricariche costavano 10 dollari.

Pubblicità della Kodak mod. 1

Nel 1898 George Eastman comprò il brevetto dell'azienda SN Turner, che consisteva in un foglio di carta nera, con numerazione progressiva dei fotogrammi, la quale ricopriva la pellicola fotografica rendendola insensibile alla luce del giorno e consentendo così il caricamento della fotocamera anche in pieno giorno. La tipologia delle fotocamera a cassetta ebbe un gran successo commerciale, che è continuato fino agli anni '60 del secolo scorso.

Questo iniziale successo diede l'avvio alla fortuna commerciale della Kodak, che tanto ha influenzato tutta la storia della fotografia e della tecnologia fotografica, successo condiviso insieme ad altri grandi nomi che hanno fatto la storia della tecnica fotografica, tra questi spicca il marchio tedesco Leica.


Daguerreotype del 1839 costruita nella fabbrica parigina Susse Freres

Voigtlander BESSA - Camera - Vintage anni 30


Kodak, 1 AGFA

Foto istantanea

La fotografia istantanea (comunemente detta istantanea o Polaroid) è un tipo di stampa fotografica che permette di ottenere fotografie in tempo relativamente breve (dell'ordine di secondi o minuti) a seguito di uno scatto. Le più popolari macchine fotografiche in grado di eseguire questa tecnica erano prodotte dalla Polaroid Corporation.

Il brevetto della Polaroid consisteva in una particolare fotocamera in grado di contenere una cartuccia contenente una serie di fogli fotosensibili, coperti singolarmente da una pellicola impregnata dal lato a contatto con il foglio stesso di una sostanza reagente. Una volta impressionata, la carta necessitava di essere estratta manualmente dalla fotocamera ed in seguito (trascorso un intervallo di circa 60 secondi) veniva separata dal foglio contenente il reagente, lasciando una immagine impressa direttamente in positivo (eliminando il passaggio del negativo, che richiedeva l'uso di una camera oscura per lo sviluppo fotografico).

Il sistema, nato in origine in bianco e nero, divenne successivamente a colori e riscosse un enorme successo negli anni settanta e ottanta, sebbene la qualità di stampa, migliorata nel corso degli anni, non raggiunse mai il livello della stampa fotografica tradizionale. Le stampe effettuate con questo metodo soffrono dell'invecchiamento e dell'esposizione alla luce in maniera sensibilmente superiore al sistema tradizionale. Dopo pochi anni le immagini risultano sbiadite e fortemente virate verso il blu. Un altro difetto delle fotocamere Polaroid era la ridotta capacità di immagazzinamento nei confronti del rullino.

Oltre alla Polaroid, negli anni settanta anche la Kodak ha avviato la produzione di pellicole autosviluppanti denominate Kodak Instant. Di forma rettangolare e superficie 9 x 6,8, le macchine fotografiche Kodak furono in commercio fino al gennaio 1986, in seguito ad un'azione legale per via del brevetto Polaroid.

Prima della diffusione delle fotocamere digitali, la Polaroid introdusse l'innovazione, molto pubblicizzata, dell'eliminazione del foglietto reagente e dell'espulsione meccanica della stampa dalla macchina fotografica. Negli anni duemila le istantanee hanno acquisito lo stato di oggetto vintage.


Kodak Ek6 Camera

Polaroid SX-70

La storia della fotografia digitale dal 1975 a oggi

L’origine della fotografia digitale risale alle esplorazioni spaziali e alla necessità di trasmettere a lunghissima distanza le immagini riprese dai satelliti artificiali e dalle missioni spaziali.

Già nel 1975 un ricercatore della Kodak, Steven Sasson, lavora ad un’invenzione rivoluzionaria: la prima fotocamera digitale.

Tutto cominciò durante una conversazione di pochi minuti con il suo superiore, il quale gli chiese se fosse possibile realizzare un apparecchio fotografico con qualcosa di simile alla tecnologia CCD (Charge Coupled Device – Rilevatore di Luce Elettronico) messo a punto nei Laboratori Bell nel 1969.

Il suo prototipo iniziale aveva una risoluzione di 0,01 megapixel e catturò la prima immagine in bianco e nero in 23 secondi per registrare poi i dati su una cassetta.

Nel 1978 depositò il brevetto ma ci vollero alcuni anni di studi e ricerche affinché la qualità dell’immagine divenisse accettabile.

La vera rivoluzione della fotografia digitale consiste nel poter vedere immediatamente dopo lo scatto le immagini ottenute su un display; inoltre il vantaggio di scaricare le fotografie scattate sul computer evita le spese di pellicola e sviluppo e consente all’utente di ottenere un numero maggiore di immagini a un prezzo pari a zero dopo l’investimento iniziale per la fotocamera.

L’accettazione dei nuovi apparecchi fotografici da parte dei fotografi non fu immediata. Inizialmente infatti le fotocamere digitali non disponevano delle raffinatezze meccaniche e ottiche caratteristiche di più di un secolo di fotografia: niente ottiche intercambiabili, poche regolazioni manuali e un display da tenere a distanza elevata dagli occhi al posto del mirino. Lo stile personale dello scatto fotografico non poteva in tal modo essere realizzato, e la versatilità delle impostazioni variabili di apertura e tempi veniva negata.

Lo scetticismo verso la fotografia digitale da parte dei fotografi professionisti crebbe con la consapevolezza che la nuova tecnologia riduceva l’esclusività delle loro competenze in quanto, soprattutto grazie all’utilizzo di software per la rielaborazione digitale dell’immagine, il più noto dei quali è Photoshop sviluppato a partire dal 1990: creare l’immagine perfetta era ormai cosa alla portata di uno studente liceale.

Con il passare del tempo la qualità della fotografia digitale continua a migliorare e nascono gli apparecchi reflex digitali, con cui torna possibile agire su tempi e diaframmi; sono disponibili obiettivi sofisticati ed intercambiabili, che consentono al fotografo un’espressività non standardizzata.

Nel 1991 viene introdotta dalla Kodak la prima reflex digitale, la DCS-100. Si tratta di una Nikon F3 assolutamente standard con un dorso contenente il sensore da 1,3 Megapixel, un motore MD-4 (necessario per riarmare l’otturatore dopo lo scatto) modificato per contenere il convertitore analogico-digitale ed una unità esterna collegata via cavo denominata DSU (Digital Storage Unit) contenente l’hard disk e un display da 4″. Un anno dopo Kodak introduce la DSC-200 costituita da un corpo macchina Nikon F801 e un dorso digitale che, a differenza del modello precedente, incorpora l’hard disk.

Nel 1995 uscivano le prime Reflex digitali dedicate ai professionisti e la Apple QuickTake per il grande pubblico, per saperne di più vi rimando a questo articolo: Nel 1995 usciva la fotocamera pro da 1MP che costava 20.000 $.

La prima Leica digitale risalente al 1996 aveva 26 Megapixel, potete trovare maggiori dettagli e vedere la sua foto a questo link: Leica la sua prima fotocamera digitale del 1996 aveva 26 Megapixel. ma solo nel 2006 la Leica presenterà la sua prima fotocamera digitale a telemetro.

Sempre nel 1996 viene lanciata la Kodak DC20, la prima di una serie di fotocamere digitali tascabili.

Nel 1999 la Nikon presenta la reflex D1, la prima SLR digitale progettata in quanto tale, non come rielaborazione di un modello per pellicola, pur integrandosi pienamente nel corrisponde sistema 35mm di ottiche ed accessori.

Ma è solo nel 2003 con la Canon 300D che il sistema Reflex digitale diventa più accessibile al pubblico scendendo a un prezzo di circa 1000 euro.

Fotografia digitale

La fotografia digitale è un procedimento per l'acquisizione di immagini statiche, proiettate attraverso un sistema ottico, su un dispositivo elettronico (sensore) sensibile alla luce, con successiva conversione in formato digitale e immagazzinamento su supporto di memoria.

I metodi più comuni per ottenere fotografie digitali consistono nell'effettuare la scansione di un'immagine precedentemente stampata, oppure sotto forma di negativo o diapositiva, con uno scanner d'immagini oppure di effettuare uno scatto con una fotocamera digitale.

Fotocamera digitale

Una fotocamera digitale è una fotocamera che utilizza, al posto della pellicola fotosensibile, un sensore (CCD o CMOS) in grado di catturare l'immagine e trasformarla in un segnale elettrico di tipo analogico. Gli impulsi elettrici vengono convertiti in digitale da un convertitore A/D, nel caso del CCD in un chip di elaborazione esterno al sensore, nel caso del CMOS, direttamente dal sensore, avendo implementato al suo interno anche il convertitore A/D, in entrambi i casi viene generato un flusso di dati digitali atti ad essere immagazzinati in vari formati su supporti di memoria.

Risoluzione

Secondo le regole attuali di mercato un parametro distintivo delle fotocamere è quello del numero di pixel. Per ottenere una buona fotografia risulta essere importante un'ottica di qualità, un sensore che abbia un buon rapporto segnale/rumore, una buona gamma dinamica ed infine in funzione delle esigenze di stampa si sceglierà la risoluzione del sensore.

Una macchina fotografica non "ha" una "sua risoluzione". Si definisce tale la quantità di pixel prodotti in uscita dal sensore. In fotografica invece spesso conta la profondità di risoluzione, che è data dal numero di punti per pollice lineare, e che viene decisa in fase di stampa. Ovviamente fotocamere con sensori più sofisticati, produrranno immagini con più informazioni e che quindi potranno essere stampate con un numero di pixel per pollice maggiore, a parità di dimensioni di stampa, delle immagini prodotte da un sensore meno efficiente.

Il sensore

Il sensore, analogo a quello utilizzato nelle videocamere portatili. Sempre e comunque si tratta di dispositivi fotosensibili costituiti da una matrice di fotodiodi in grado di trasformare un segnale luminoso in uno elettrico. Impiegando il CCD, la conversione del livello di luce in dato digitale avviene necessariamente all'esterno del sensore ad opera di un chip dedicato, nel CMOS la conversione avviene direttamente all'interno del chip/sensore, ogni fotodiodo ha il proprio amplificatore e convertitore A/D. In termini di qualità, riferita a prodotti di consumo, una tecnologia non prevale sull'altra, solo su sistemi ai massimi livelli il CCD risulta qualitativamente ancora superiore, responsabili sono gli innumerevoli amplificatori e convertitori implementati nella matrice del chip CMOS insieme ai fotodiodi, i parametri dei quali possono discostarsi anche di pochissimo uno dall'altro, cosa che non succede nel CCD, avendo la possibilità di convertire gli innumerevoli livelli del segnale luminoso tramite un chip dedicato, ottimizzato per questa funzione. Gli svantaggi del CCD rispetto al CMOS sono i maggiori costi di produzione, una maggiore lentezza di lavoro, il maggiore ingombro e un maggior consumo di energia.

Nella fotocamera digitale, l'immagine viene messa a fuoco sul piano del sensore. I segnali così catturati vengono amplificati e convertiti in digitale. A questo punto i dati digitali sono in forma grezza (raw) e - così come sono - possono essere memorizzati su un file per una successiva elaborazione in studio, con altri apparecchi informatici. Successivamente il processore di immagine interno alla fotocamera trasforma questi dati, cioè calcola le componenti primarie mancanti su ogni pixel (RGB) e rende compatibili i dati di immagine con i normali sistemi di visualizzazione di immagini (generalmente nel formato JPEG o TIFF a seconda delle esigenze per le quali è destinata la fotocamera) ed infine immagazzina il file elaborato in una memoria a stato solido (ordinariamente dal punto di vista tecnologico si tratta di EEPROM di tipo Flash, mentre i formati con cui sono messe in commercio sono diversi (CF, XD, SD, MMC, Memory stick, ecc). Le schede contengono generalmente un rilevante numero di immagini, la quantità dipende dalle dimensioni della singola immagine, dalla modalità di registrazione e dalle dimensioni della memoria.

La risoluzione totale del sensore si misura in milioni di pixel totali. Un pixel è l'unità di cattura dell'File: rappresenta cioè la più piccola porzione dell'immagine che la fotocamera è in grado di catturare su una matrice ideale costruita sul sensore CCD.

Le proporzioni delle immagini che si ottengono con gli attuali sensori (o attraverso elaborazioni del processore d'immagine interno alla fotocamera), sono indicate nella figura seguente:

Proporzioni delle immagini che si ottengono con gli attuali sensori

Moltiplicando il valore in pixel della risoluzione orizzontale per quello della risoluzione verticale si ottiene il numero totale di pixel che la fotocamera è in grado di distinguere in una immagine.

Le caratteristiche che attribuiscono qualità ai sensori sono:

  • Elevato rapporto segnale rumore.


Lo stesso argomento in dettaglio: Fotografia digitale § Photosite e pixel / Sensore e immagine.

Questo fenomeno si evidenzia in modo particolare nelle riprese a bassa luminosità dove possono comparire degli artefatti di immagine dovuti a segnali derivanti dal rumore elettrico di fondo degli elementi fotosensibili;

  • Elevata gamma dinamica. Questo parametro indica l'ampiezza dell'intervallo di luminosità dal minimo registrabile al massimo registrabile prima che l'elemento fotosensibile vada in saturazione.

  • Elevato numero di pixel. L'elevata quantità di elementi fotosensibili garantisce un elevato dettaglio di immagine, ma sorgono problemi di velocità nel trasferimento dei dati al processore d'immagine. Maggiore è la risoluzione, maggiore è il numero di pixel, maggiore sarà quindi la quantità di dati da trasferire e dunque, a parità di velocità di trasmissione, maggiore sarà il tempo necessario a trasferire i dati al processore d'immagine e la successiva registrazione dell'immagine. Alcuni produttori hanno studiato sensori con 4 bus dati di uscita dal sensore che trasmettono in parallelo i dati di immagine al processore della fotocamera.

  • Capacità di non trattenere ombre sul sensore relative a riprese precedenti. Questo problema si incontra prevalentemente nei sensori di tipo CMOS e richiede che i costruttori adottino strategie per ottenere una sorta di cancellazione elettronica del sensore fra la ripresa di un'immagine e l'altra;

  • Capacità del sensore di non produrre artefatti derivanti da interferenze (effetto moiré) fra i pixel in particolari condizioni di ripresa;

  • Dimensione fisica del sensore a parità di pixel (e quindi a parità di risoluzione). Se la dimensione fisica del sensore è elevata a parità di numero di pixel questo comporta ovviamente una maggiore dimensione fisica dei pixel o dei photosite (per un chiarimento sui termini photosite, pixel e elemento fotosensibile vedi il paragrafo "Numero di Pixel e qualità delle immagini" della voce correlata Fotografia digitale). Tale fatto rende maggiormente sensibili gli elementi dei photosite (pixel) garantendo un miglior rapporto segnale/rumore. Ad esempio vi sono sensori da 6 MP (f.to 4:3) con dimensione 1/2,7” che hanno una dimensione di 5,371 mm x 4,035 mm (diagonale = 6,721 mm), mentre altri sensori da 6 MP hanno dimensioni 1/1,8” e dimensione di 7,176 mm x 5,319 mm (diagonale = 8,933 mm). In termini di rumore e di sensibilità la qualità del sensore è normalmente maggiore nel sensore più grande.

I sensori di alcune fotocamere REFLEX professionali hanno il sensore di formato 3:2 ed un rapporto 1:1 con il fotogramma della pellicola (Full-Frame), una dimensione quindi di 24x36 mm. Con queste dimensioni – oltre ad avere un basso rumore, risulta possibile garantire che l'angolo di campo delle ottiche non sia alterato (rapporto 1:1 fra angolo di campo della fotocamera con sensore e quella a pellicola).

La qualità dell'immagine tuttavia è importante relativamente alla modalità di fruizione: se le immagini si utilizzano a video non ha molta rilevanza la risoluzione, ma se si intendono realizzare stampe di grande formato allora la risoluzione diventa un parametro da tenere presente. Tanto più si vorrà effettuare una stampa grande di una foto digitale, tanto più la fotocamera dovrà produrre immagini ad una risoluzione elevata. Ecco alcuni esempi:

  • Una foto in formato standard da 14 cm di larghezza necessita di 1.2-2 megapixel di risoluzione per risultare pari ad un prodotto di una macchina fotografica tradizionale;

  • Per stampare su di un foglio A4 sono necessari dai 2 ai 3 megapixel;

  • Per realizzare un poster da 60–70 cm sono consigliabili risoluzioni non interpolate di più di 5 megapixel.



Nikon D5300 24.1 Megapixel Digital SLR Camera NFC SD


Canon EOS 5D MARK II Fotocamera Digitale Reflex 21.1 Megapixel


Leica S2

Sensori

Per ottenere un'immagine digitale, in ogni caso, occorrono un certo numero di dispositivi in grado di trasformare l'intensità di luce riflessa proveniente da diverse parti di una scena o di un'immagine cartacea. Dunque, sia in uno scanner, sia in una fotocamera, l'elemento in grado di svolgere questa funzione è il sensore, il quale ha forma diversa a seconda si tratti di scanner o fotocamera digitale. La funzione che svolge il sensore all'interno di una fotocamera digitale è analogo a quello che svolge la pellicola nella fotografia tradizionale[1]. Da questo si comprende agevolmente come la parte ottica di focalizzazione dell'immagine sulla superficie del sensore mantenga, nella fotografia digitale, un ruolo centrale, essendo responsabile della risoluzione delle immagini che si ottengono e contribuendo alla loro qualità[2]. La tecnologia con la quale i sensori possono essere realizzati è riconducibile, sia nelle fotocamere, sia negli scanner, a due tipologie diverse:

  • CCD (Charge Coupled Device)

  • CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor).

Va tuttavia notato che negli scanner è largamente diffusa l'adozione della tecnologia CCD. Altro fattore di distinzione delle tecnologie è la metodologia di lettura dei segnali elettrici in uscita dai sensori:

  • Area array

  • Linear array

In estrema sintesi, un sensore area array legge l'intera immagine, mentre un sensore linear array lavora con modalità simile a quella di uno scanner.


Funzionalità e connettività

Fatta eccezione per alcuni modelli del tipo linear array (in fascia alta) e per le webcam (in fascia bassa), viene utilizzata una memoria digitale (di solito una scheda di memoria; i floppy disk e i CD-RW sono molto meno comuni) per memorizzare le immagini, che possono essere trasferite su PC in seguito.

La maggior parte delle macchine fotografiche digitali permettono di realizzare filmati, talvolta con sonoro. Alcune possono essere utilizzate anche come webcam, altre supportano il sistema PictBridge per connettersi direttamente alle stampanti, altre ancora possono visualizzare le fotografie direttamente sul televisore. Quasi tutte includono una porta USB o FireWire port e uno slot per schede di memoria.

Praticamente tutte le macchine fotografiche digitali permettono di registrare video, ovviamente limitate alla memoria disponibile. Una scheda di memoria da 1 GB può memorizzare approssimativamente un'ora di video in formato MPEG-4 in bassa risoluzione, a 640x480 pixel. I modelli più recenti possono catturare fotogrammi ad una frequenza di 60 immagini/secondo con una risoluzione pari al Full HD, cioè di 1920x1080 pixel o addirittura superiore. Un filmato di 1 ora in Full HD e audio stereo può arrivare ad occupare oltre 16 GB di memoria (variabile a seconda della compressione effettuata dalla fotocamera). La maggior parte possono registrare l'audio, spesso anche in stereo, ed essere comandate in remoto dal PC, e ovviamente, memorizzare i video sull'hard disk o su DVD tramite il masterizzatore.

Nei paragrafi che seguono la discussione verterà primariamente sulla fotografia digitale come prodotto di riprese con fotocamera digitale.


La fotografia con cellulare

Chiunque può prendere il proprio cellulare, cliccare sull’icona con il simbolo della fotocamera e scattare una lunga serie di foto ogni giorno, ma bisogna essere un fotografo decisamente più esperto di un amatore come tanti altri per dare vita ad un’immagine davvero eccezionale, immortalata nell’istante di uno scatto.

La vera domanda che tutti ci poniamo, girando attraverso qualche blog dedicato alla fotografia, o semplicemente scorrendo la home di Instagram: com’è possibile che loro riescano a scattare queste foto incredibili semplicemente con un cellulare?

In realtà, scattare delle foto meravigliose con il semplice ausilio di un cellulare non è affatto un’impresa impossibile come molti vorrebbero far credere, purché si seguano alcune importanti principi per quanto concerne messa a fuoco, esposizione, composizione e fotoritocco, senza la necessità di dover acquistare una fotocamera da svariate migliaia di euro per poter realizzare delle fotografie che possano soddisfarti appieno.

Che tu sia un novizio della phone photography alle prime armi oppure un fotografo mobile più esperto, questo articolo potrebbe farti molto comodo, riprendendo qualche consiglio che magari ti è sfuggito, oppure trovando una componente fondamentale per implementare la qualità dei tuoi scatti, senza dover aprire un mutuo per poterlo comprare.

Grazie ai componenti che analizzeremo nel corso di questo articolo, potrai mostrare che esiste, effettivamente, una differenza fra un fotografo professionista ed un bambino di tre anni che, esplorando per la prima volta un telefono, inizia a fare scatti a caso, probabilmente per sbaglio.

Esiste una vera abilità (che può essere allenata) nel riuscire a vedere un panorama e catturare un’immagine esteticamente interessante e tecnicamente valida, con un semplice click.

Non è semplicemente una serie casuale di scatti, sebbene i fotografi esperti possano, una volta acquisita la piena padronanza delle proprie capacità e delle potenzialità della fotocamera del proprio cellulare, scattare una sequenza di foto meravigliose, anche rapidamente!


Fotocamera smartphone